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Cecilia Mangini: essere documentarista

(1) La canta delle marane [The Marshes’ Chant] (Cecilia Mangini, 1962)

Cecilia Mangini (Mola di Bari, 31 luglio 1927 – Roma, 21 gennaio 2021) è stata la prima donna che ha osato mettersi dietro la macchina da presa per documentare le trasformazioni sociali e politiche del secondo dopoguerra italiano. Fotografa, saggista, sceneggiatrice e regista ha dedicato la sua vita al cinema militante, un aggettivo che oggi – sono parole sue – “sembra quasi una parolaccia”.

A proposito di parolacce, mentre girava il suo quarto documentario, La canta delle marane (1962), mi ha raccontato1 di come fosse stato faticoso dirigere il gruppetto di bambini e adolescenti della periferia romana che aveva scelto di riprendere. Non si facevano mai trovare e il pulmino della produzione che li doveva portare sul set perdeva ore per cercarli tra i palazzoni di cemento. Una volta perse la pazienza e, sgridandoli, si fece sfuggire una parolaccia. Esclamarono: “Ma vedi un po’ questa donna che dice le parolacce come i maschi!” Cecilia ha fissato nella mente le loro bocche aperte, la loro espressione stupefatta di fronte a quell’improperio – per i tempi un linguaggio inconcepibile in bocca a una signora che inoltre indossava i pantaloni. 

Per capire la rilevanza di questo piccolo aneddoto bisogna tornare all’Italia degli anni Cinquanta; una nazione poverissima, per buona misura analfabeta in cui le donne avevano ottenuto il diritto di voto da poco2 e di fatto vivevano in una società cattolica estremamente conservatrice che non si era liberata dalla pesante eredità culturale del ventennio fascista. E il boom economico del decennio successivo, insieme a un diffuso grado di benessere, aveva generato un cono d’ombra in cui si muovevano, invisibili agli occhi dello stato, i figli e le figlie di coloro che avevano fatto la guerra sperando in un riscatto sociale. Invece, erano stati ‘ghettizzati’ nelle periferie dei grandi centri urbani, oppure irreggimentati nelle catene di montaggio delle industrie.

Cecilia Mangini si trasferisce a Roma nel 1952. Grazie al ruolo di programmatrice svolto per la FICC (Federazione Italiana dei Circoli del Cinema) e in parallelo di freelance come fotoreporter e giornalista per alcuni periodici3 , entra in contatto con scrittori, sceneggiatori, registi e produttori; uno di questi, Fulvio Lucisano, le propone di girare un documentario. 

Mangini ha in mente quello che ha visto nelle borgate romane durante i tour perlustrativi con Lino Del Fra4 , a bordo della loro FIAT 500 detta la “polverosa”, per lo stato in cui si riduceva percorrendo i 7 chilometri di strada sterrata che separavano la Capitale dai quartieri periferici. Ha letto e amato il romanzo che ha fatto scandalo, Ragazzi di vita5 , di Pier Paolo Pasolini. È pronta a mettersi dietro la macchina da presa. 

(2) Stendalì: suonano ancora [Here They Play Again] (Cecilia Mangini, 1960)

Nascono così Ignoti alla città (1958), Stendalì: suonano ancora (1960) e La canta delle marane; tutti con il commento6 scritto da Pier Paolo Pasolini. In poco più di dieci minuti questi documentari raccontano ciò che la società italiana post-bellica non voleva mostrare.

La canta delle marane è la felice prosecuzione di Ignoti alla città. Nel cortometraggio di esordio, Mangini segue “i ragazzi di vita” nelle loro peregrinazioni quotidiane; mostra dove vivono, come si divertono, cosa mangiano e come si vestono; li presenta al mondo, ne fa un identikit. Nel secondo, la documentarista ne mostra l’anima: sono angeli caduti, ma pur sempre angeli. Pasolini abbandona la terza persona e la lingua italiana che caratterizzano il commento di Ignoti alla città e diventa la voce di uno di quei ragazzi7 . Fattosi adulto, ricorda con struggente nostalgia e in dialetto romanesco, la felicità di quei giorni torridi e selvaggi, passati a bagnarsi nei piccoli corsi d’acqua chiamati marane.

Sono i giovani, coloro che dovrebbero rappresentare il futuro del paese tra i soggetti preferiti di Mangini: Ignoti alla città, La canta delle marane, Tommaso (1965), La briglia sul collo (1972). In seconda battuta, dalle borgate romane – divenute simbolo di tutte le periferie dei grandi centri urbani – il suo sguardo si rivolge all’Italia del sud, per constatare l’immobilità secolare della società contadina (Maria e i giorni, 1960), dove ancora sopravvivono rituali di epoca pre-cristiana, atti a consegnare i morti all’al di là e consolare i vivi (Stendalì).

Il filo conduttore che collega soggetti apparentemente così lontani è sempre lo stesso; svelare ciò che la società così detta moderna nasconde, dare un volto e una voce a coloro che vivono ai margini.

Stendalì: suonano ancora (1960) è un capolavoro di perfetto equilibrio visivo e sonoro. Il ritmo ipnotico del montaggio di stile sovietico è amplificato dalla drammaticità della voce che recita il lamento e scandito dagli inserti musicali del compositore Egisto Macchi8 . Mangini torna nella sua terra natale, la Puglia, per filmare un rituale che ha presumibilmente le sue radici nell’insediamento di colonie greche nel Salento: il pianto funebre in dialetto griko9 . Il cortometraggio non documenta un vero funerale. Sarebbe stato impossibile con le attrezzature di cui allora si disponeva. Il rituale viene messo in scena per l’occasione. Le donne sono professioniste del lamento funebre. Sono tanto consapevoli del proprio ruolo da riuscire a doppiarsi nella fase di post-sincronizzazione. Pasolini entra in gioco componendo un testo che nasce dal geniale assemblaggio di versi provenienti da quattro differenti canti che il poeta conosceva e aveva inserito nella propria monumentale raccolta di poesie popolari italiane, il Canzoniere italiano, pubblicato nel 1955.

(3) La briglia sul collo [The Bridle on the Neck] (1972)

Il sud Italia non è per Mangini solo oggetto di studio etnografico. A metà degli anni Sessanta torna in Puglia, ma questa volta per indagare l’impatto sulla popolazione del più grande stabilimento petrolchimico italiano sorto a Brindisi, una città che fino a pochi anni prima aveva un’economia prevalentemente agricola. Tommaso è la storia di un ragazzo con il sogno di entrare nella grande fabbrica per potersi comprare una moto, mentre Brindisi ‘65 (1966) è un reportage più articolato sui lavoratori del petrolchimico Monteshell. Entrambi i documentari mettono in discussione i significati di “progresso” e “benessere” in relazione al boom economico e alla nascente società dei consumi.

Gli stessi principi sono alla base del documentario Essere donne (1965). In questo caso è la condizione di lavoro femminile - da nord a sud - che viene presa in esame, in tutti i suoi aspetti: la donna nelle fabbriche, nei campi o a domicilio a cui si aggiungono i compiti abituali di gestione della casa e della cura dei figli e dei mariti. L’abissale distanza che separa la loro quotidianità da come la società le rappresenta, Mangini la restituisce sullo schermo aprendo il film con un montaggio di fotografie pubblicitarie coloratissime di donne prese da popolari riviste di attualità e di moda intercalate con immagini di repertorio sullo scoppio di una bomba nucleare.

In tutti i suoi documentari emerge una potente tensione libertaria e anarchica. Mangini punta il dito contro l’omologazione sociale e lo strapotere della grande industria, opponendo una lettura resistente della realtà. E per questo la censura la punisce in modi subdoli e ipocriti. Nei titoli di testa di Tommaso e Brindisi ’65 per esempio, non risulta il nome del produttore Giorgio Patara che, dopo aver ricevuto minacce di denuncia dalla Monteshell nel caso in cui i cortometraggi avessero danneggiato l’immagine dell’azienda, decise di non presentarli alla commissione ministeriale preposta a dare il nullaosta per la distribuzione10

Il caso di Essere donne è ancora più significativo. Commissionato a Mangini dal partito comunista italiano in vista delle elezioni politiche della primavera del 1964, ottenne il visto di censura ma non il premio di qualità che, nel sistema distributivo dell’epoca, significava condannare a morte un documentario; non solo il produttore non riceveva alcun finanziamento statale, ma cadeva l’obbligatorietà per gli esercenti di programmarlo nelle sale. Ciò nonostante, Essere donne – che al Festival di Lipsia del 1965 vinse il premio speciale della giuria11 – è stato il film più visto di Mangini a livello internazionale. In Italia, fu regolarmente proiettato durante importanti ricorrenze come la Festa della Liberazione (25 aprile) e l’8 marzo e in tutti quei luoghi di aggregazione sociale che si riconoscevano nei valori dei partiti di sinistra.

Cecilia Mangini è andata altrove. Mi ripeteva spesso che “il mondo è per chi lo vuole”. Per lei Pier Paolo Pasolini era una persona cara, di famiglia, perché le famiglie non si subiscono, si scelgono. E lei, come il poeta, aveva scelto di abbracciare il mondo nella sua totalità, amandolo fino in fondo.

(4) Essere donne [Being Women] (1965)

  • 1Intervista a Cecilia Mangini, realizzata da Céline Ruivo e dalla sottoscritta nel settembre 2019.
  • 2In Italia, il Consiglio dei Ministri  riconobbe alle donne il diritto di elettorato attivo e passivo il 30 gennaio 1945. Le prime consultazioni con Il suffragio universale furono le elezioni amministrative del 10 marzo 1946.
  • 3Tra il 1952 e il 1958, Mangini scrive e scatta fotografie per Cinema Nuovo, Araldo del Cinema e dello Spettacolo e il periodico Rotosei.
  • 4Lino Del Fra (Roma, 20 giugno 1929 – Roma, 20 luglio 1997), sceneggiatore e documentarista, è stato il compagno di vita di Cecilia Mangini.
  • 5Il libro è uscito nel 1955, con l’editore Garzanti. A tre mesi dalla pubblicazione Pasolini e Garzanti furono citati in giudizio per oltraggio al pudore. Era stata la Presidenza del Consiglio dei ministri a promuovere un’azione giudiziaria contro il romanzo. Il Pubblico Ministero chiese l’assoluzione degli imputati. La richiesta fu accolta dai giudici con formula piena.
  • 6Nel secondo dopoguerra, quando in Italia si incomincia a girare in esterni, le macchine da presa facevano un tale rumore che era estremamente difficile registrare un suono pulito in presa diretta. Per questo motivo negli anni Cinquanta, il suono dei documentari veniva post-sincronizzato; era cioè creato successivamente alle riprese e non poteva che commentare le immagini.
  • 7A.-V. Houcke, Affinités électives entre Cecilia Mangini et Pier Paolo Pasolini, in Trafic, printemps 2014.
  • 8Attivo sul fronte della composizione strumentale, vocale, teatrale e della creazione di colonne sonore per il cinema e la televisione, Macchi (1928 – 1992) è stato una delle figure più rappresentative dell’avanguardia musicale italiana del secondo Novecento.
  • 9L’origine del griko o grico è ancora oggi dibattuta. É un dialetto nel quale si mescolano il greco bizantino e il salentino, caratteristica parlata della provincia di Lecce. Alcuni studiosi lo fanno risalire alla Magna Grecia, mentre altri lo collocano tra il XIII e XIV secolo.
  • 10Intervista a Cecilia Mangini realizzata da Andrea Meneghelli e dalla sottoscritta nel 2014. Per sbloccare i due documentari, Mangini, in accordo con Patara, finse di esserne anche la produttrice, sfidando così il colosso della Monteshell.
  • 11La giuria era composta da Joris Ivens, Paul Rotha e John Grierson.

immagine (1): La canta delle marane [The Marshes’ Chant] (Cecilia Mangini, 1962)

immagine (2): Stendalì: suonano ancora [Here They Play Again] (Cecilia Mangini, 1960)

immagine (3): La briglia sul collo [The Bridle on the Neck] (1972)

immagine (4): Essere donne [Being Women] (1965)

 

Milestones: Cecilia Mangini takes place on Thursday 10 November 2022 at 20:30 in Beursschouwburg, Brussels. You can find more information on the event here.

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26.10.2022
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In Passage, Sabzian invites film critics, authors, filmmakers and spectators to send a text or fragment on cinema that left a lasting impression.
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De Prisma-rubriek is een reeks korte reflecties over cinema. Een Prisma heeft altijd dezelfde lengte – precies 2000 tekens – en wordt begeleid door één beeld. Een Prisma is een oefening op de korte afstand, een miniatuurtekst waarin één detail of element in het spectrum van een grotere gedachte of observatie breekt.

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